Nuccio Acquarone, da “Monografia di Walter Madoi”, 1970
Uno sguardo all’ avvenire
Walter Madoi ripropone a sé stesso e agli altri l’ antico tema del
dolore. Questa volta – è nei suoi intendimenti – sulle pietre
insanguinate del “muro” di Berlino, quel segno profondo tracciato fra
due mondi irrimediabilmente nemici. Se le burocrazie gli diranno di sì,
un giorno d’ estate o d’ inverno, di sole o di pioggia, Walter Madoi si
avvierà al “grande confine”, con in mano pennelli e colori. Comincerà a
dipingere. Di qua lo guarderanno – a rispettosa distanza – preoccupati e
seccati; di là lo fisseranno – a ridosso – incerti e increduli.
Di qua e di là è entrato nel ragionamento comune soltanto e soprattutto
il fatto che ill “muro” debba essere una barriera, un appuntamento con
il destino – la morte – di chi cerca di varcarlo. Perciò il pittore
Madoi sarà una novità scomoda, perché proporrà all’ equazione
“muro-rischio-morte” l’ assioma “muro-vita”, e scombussolerà tutto:
interessi, ragioni, politiche, odii, rancori, prove di forza e di
coraggio.
All’ insegna semplicemente della pietà. Un senso dell’ umano che adesso,
spesso, manca: la pietà degli altri proiettata fuori di noi. La pietà
fine a se stessa. La “grande pietà” che ciascuno sente, talvolta, quando
si è in solitudine, e in profonda amarezza, nell’ attesa vana di una eco
che gli altri non si preoccupano di darci.
L’ ampio affresco – quarantacinque metri di lunghezza – che Walter Madoi
dipanerà sulle pietre del “muro” berlinese, avrà essenzialmente un
protagonista: un bambino di età incerta, da poco uscito dal grembo della
madre, fra poco dotato della perfidia del ragionamento, cioè l “infante
madoiano”, protagonista di tante sue opere, frutto di tante sue
elucubrazioni, motivo di tantissimi suoi pretesti.
Ci sarà un bimbo solo al centro dell’ affresco; solo con sé stesso, fra
adulti che si amano e che si scannano, con la consueta dinamica e la
consueta staticità.
E’ – per Madoi – l’ antico “refrain” che ritorna impietoso, crudele,
affascinante: la storia dell’ umanità condensata nel visetto di un
bambino, la ragione dell’ uomo in un discorso innocente e doloroso. E’
il capitolo della rassegnazione corale degli adulti che sfocia nella
“pagina-clou” del tormento del piccino.
Diventa inutile ambire alla scappatoia della speranza. Nella
pittura di Madoi non ce n’è mai. Ciascuno – pensiamo – nasce vive e
muore col proprio fardello di pena. Ciascuno è dannato in ragione di
quello che crede di essere. E’ il “punto” centrale delle figure di
Madoi e – ampliando il discorso – la ragione di ogni sua creatura.
Dovrebbe essere la chiave del “muro”.
Chi “abiterà” nelle torride estati e nei gelidi inverni berlinesi la
parete madoiana della tragica Berlino? San Sebastiano, la madre di
Cristo sconsolata, Adamo, Eva, un apostolo, Caino?
Certamente loro. Tutti coloro che soffrono e che guazzano con gioia nel
proprio dolore. Anche i masochisti, i folli, i megalomani. Fa parte
della realtà e del giuoco. Della realtà e del giuoco delle cose reali e
della piccola cosa che è Madoi.
Dall’ altra parte l’ umanità dei tecnologi, delle creature della società
del benessere, dei funghi della civiltà meccanica, che il pittore si
sente in dovere – e noi lo comprendiamo di più – di condannare, o almeno
di accusare.
Ma poi il richiamo sferzante – in pittura e nella realtà – al volto di
un bambino, la figura centrale. Di bimbi, nell’ affresco, ce ne saranno
tanti, moltissimi. Con le pancine gonfie, coi visi affilati, con
le braccine scheletriche, con i piedi e le mani ossuti: perché ciascuno
di noi si ritrovi in uno di quegli esserini. Sino all’ “infante
madoiano”, dove è facile, oppure impossibile penetrare, essendo in lui
Budda, Cristo e Maometto, Lucifero e Osiride, e le vecchie leggende
senza le quali troveremmo più difficile vivere.
Un bambino – credeteci – senza speranza, rassegnato. Un bambino assurdo,
in cui male e bene bisticciano e si compenetrano; in cui può accadere
anche che le lusinghe dell’ inferno difficilmente possano avere il
sopravvento sul fascino del paradiso. Ed anche esattamente il contrario.
Madoi fece già discorsi analoghi sui muri verginali della chiesetta di
Sesta di Corniglio e su quelli ragionati della chiesa del Corpus Domini
a Parma. Furono due capitoli di un libro che gli veniva spontaneo,
istintivo. Adesso quegli affreschi non gli serviranno. Per una
“tela” come il “muro” di Berlino le parole non potranno che essere
diverse. Dovranno essere parole nuove, inedite, perennemente in
assoluto. In sintesi.
A Berlino, se si tenta qualcosa, non si può sbagliare. A Berlino la
regola è quella di riuscire a vivere o di dover morire. Chi vive deve
farlo senza rimorsi, debolezze, e preoccupazioni. Chi muore deve
accettare il gioco.
Adesso spetta al Parmigiano Walter Madoi, pittore discusso e
discutibile, muovere i fanti, gli alfieri, le torri, le regine e i re
della propria commozione d’ artista.
La scacchiera è il “muro” di Berlino. La posta : il viso sparuto, triste
e dolce di un bimbo (schiacciato contro quel “muro”) che si può uccidere
con un’ idea banale, ma che sarebbe bellissimo far vivere – perché tutti
vivano – con una ispirazione tanto geniale quanto pulita.