Francesco Barocelli, da La Memoria Donata, Milano, Mazzotta, 2002
Un percorso tra uomini e cielo (1960 – 1975)
Walter Madoi la scelse un giorno, perche’ era oltre il mondo e guardava
alla linea di un confine ideale tra terra e cielo; l’ artista là riposa
da oltre venticinque anni assistito dal volto di una Mater dolorosa
scolpito dalle sue mani nel marmo lunense.
Il Monte Caio è in vista e poi l’ Orsaro; e dinnanzi il Marmagna,
imbiancato sulle cime, osserva le poche case e invia folate di aria che
odora di neve e filtra gli alisei dai crinali, mentre persiste sugli
intonaci vecchi la luce del sole.
Sesta come una Eboli: ma terra non di confino, bensì di confine.
La linea di confine, quella che divide terra e cielo, arte e natura,
formale da non-forma, il singolo dal tutto, è una ossessione negli
artisti. Vi sono dipinti che sulla delimitazione dei campi ottici,
visivi, cromatici hanno costruito il loro pensiero.
Per Madoi il pensiero è il tempo. Quel sole ha scialbato i ritratti che
ti guardano dai balconi e dalle finestre, dal manto di calce bianca.
Ti guardano da un passato che li ha precocemente allontanati.
Come il ritratto del “fornaio” Paquio e di sua moglie, dalle mura
sbrecciate dalla lava, nell’ antica Pompei, questi volti apparentemente
noti appartengono ormai alla storia. Madoi ha capito quale autore
sia anche il tempo, che trascina le cose, le modifica, le attutisce, le
disgrega. Sesta non è una rivelazione, è una decisione. I
personaggi riconoscibili appartengono a loro volta ad un mondo separato
(l’ icona fotografica e il giornale mondano); creature dipinte, ti
osservano, personaggi e bellezze e poi gli amici degli anni Sessanta.
L’ autore come quelli che lavorano la materia aveva previsto che il
tempo avrebbe frapposto un filtro.
Parlare di Sesta in occasione di questa donazione importante fatta dalla
famiglia Madoi alla citta’ di Parma significa partire dalle origini e
qualificare il profilo dell’ operazione culturale e artistica. Per
Madoi Sesta è la nascita, o se si vuole, la rinascita.
Da Sesta parte il percorso che lo porta a tre altri momenti creativi sui
quali ci soffermiamo: il Corpus Domini di Parma, il Muro di Berlino, le
Vallette di Torino. E siamo passati dagli inizi alla fine degli
anni Sessanta. Come il vortice delle sue energie Walter Madoi in un
decennio dice quasi tutto, quasi, poiché rimangono i grandi monumenti,
quelli antichi di Busto, quelli recenti di San Donato Milanese e di
Genova (questo in versione preliminare in gesso e tale rimasto a seguito
dell’ improvvisa scomparsa dell’ artista).
Attraverso il laboratorio dell’ artista, gli schizzi, i progetti, i
cartoni e gli spolveri, gli oli e altre prove si percorrono i momenti
centrali della produzione dell’ autore destinata al grande formato, in
particolare ai dipinti murali e poi ai repertori in scultura della
maturità.
E’ un percorso particolare, quello centrale della sua vita artistica,
per quanto forse rimasto sullo sfondo di una produzione composta di
ritratti, di paesaggi, di nature morte ecc. che ne costituiscono l’
immagine più conosciuta.
Qui, nella collezione donata, si parte da Sesta sino a comprendere San
Donato (recente con uno schizo preliminare) e lo schizzo dell’ ultima
opera su parete, pochi mesi prima della scomparsa, il Calvario della
chiesa di Costa Sant’ Abramo, a Cremona (1975). La serie di opere,
disegni, cartoni, spolveri, tele, tavole, una scultura ecc documenta ciò
che era rimasto nella interiore memoria del laboratorio del pittore.
Torre di Porta Ticinese, a Milano, fianco del più bel colonnato di
recupero di una città mitteleuropea. Qui Milano è come Colonia o
Treviri. Segreto destino a distanza di secoli. A Milano, città
europea, Madoi sente soffiare il vento di Berlino. E come vuole la
storia, quando soffia a Berlino, è destino che soffi su tutta Europa.
Così è stato. Anche in questo Madoi è stato profeta. Ha avvertito
con vent’ anni di anticipo ciò che poi è accaduto.
Da Milano a Parma. Il percorso di queste opere che scandiscono l’
itinerario di Madoi è inverso a quello che lui fece, da Parma a Milano.
Le tappe sono queste e tra gli oli v’è rappresentato anche il periodo
trascorso nella Torre presso San Lorenzo, dal nome della vicina basilica
milanese.
Un ‘ unica aggiunta: Madoi in terra parmense è stato per tanto tempo l’
artista dei paesaggi padani. In questa raccolta lo sarà un poco
meno. Anche perché non è stato un pittore qualificabile come paesista
padano. Ha dipinto anche il Po; e le anse lacustri dalle barche
assonnate e la chiglia appuntita come un tratto di paesismo romantico
trascinato al Novecento dallo stesso Carrà, che rimane – a mio parere –
uno degli autori conosciuti e stimati dal nostro artista.
Ma qui si parla dell’ altro Madoi, quello che lascia il sigillo sulle
opere murali (ed ancora ricorda Carrà, Funi e Sironi); un pittore che
divide il mestiere con l’ ispirazione, l’ ispirazione con un carattere
che tende all’ eroico, forse all’ iperbole, quando essa può essere
metafora dello slancio ideale.
Come tutti i grandi caratteri Madoi aveva bisogno di qualcosa che
superasse la dimensione del minimo, del particoalre, dello spazio
consegnato alla frammentarietà erratica di una tela. Da pittore di
quadri diventa nella prima maturità freschista, grande decoratore di
pareti. Non era un mestiere, era una passione. Ma a Milano
all’ Accademia i maestri che frequenta hanno attitudini alla pittura
parietale, a partire da Carrà appunto, del quale egli ritiene in sé la
semplificazione pittorica delle masse.
La pittura murale lo aveva già interssato per una commissione giovanile;
la decorazione di una volta nel Municipio della città di Parma nel 1946,
quando, ventunenne, dalla barba fulva e arruffata di giovane eroe
disceso dalla montagna, risaliva i ponteggi come avrebbe fatto un
pittore del Rinascimento. Ed al Rinascimento per questo Trionfo
di Cerere permense aveva certamente guardato.
Dopo qualche anno, nella ricerca di se stesso trovò che l’ arte poteva
attenderlo sullo schermo di calce di questa chiesa di un Appennino ancor
più discosto di quello frequentato durante le azioni partigiane del ’44.
Si conciliava una delle urgenze che portava dentro, il rapporto con la
natura, che è anche rapporto con la materia.
La pittura che è arte del porre si ferma alla soglia della materia.
Per superar il tempo e l’ istante, ha bisogno di levare, che è il modo e
il segreto dello scultore. Madoi pare inseguire subito il rapporto
col tempo. Nel tempo c’è l’ azione, il divenire e il dramma
dell’ esistenza.
Non sconcerta che la sua sia una pittura che trascorre da un foglio all’
altro senza avere confine, come fosse una “enarratio continua”, che è il
metodo narrativo applicato alle immagini nel Medioevo. La
narrrazione di un unico evneto. Non sconcerta che un autore dai
sentimenti profondamente laici abbia dedicato tanto ad argomenti
religiosi. La narrazione si fonda sul mistero; ed il mistero evoca
il “mistico”, il rapporto con ciò che trascende il quotidiano.